Pagina di diario del 27 Agosto 2024 ore 04:17
Se un giorno ricomincerò, vorrei che fosse tenuto conto del mio passato. Vorrei che chiunque mi avvicinasse, dentro al cuore portasse pazienza e ascolto, per permettermi di raccontare tutta la mia storia dall’inizio. Vorrei leggergliela nell’ordine in cui è avvenuta, senza interruzioni, senza cedere il posto alla versione di altri attori, ai loro camuffamenti, alle loro giustificazioni.
Non vorrei mai ricominciare a vivere senza questa possibilità.
Prima di potersi avvicinare dovrebbero avere la piena conoscenza che non c’è stato un unico passato per me, ce ne sono stati molti, moltissimi. Non in tutti sono stata io la protagonista. Per molti passati io ero solo qualcosa di aggiunto alla mia storia, delineata da altri, per me.
Non mi è mai piaciuta. Solo in pochi momenti che non ho potuto apprezzare appieno. Sono stata nuvola, inseguita da molte tempeste, in rotta di collisione con altre tempeste. Lo spazio in mezzo era bello solo per il tempo di un pensiero. Ho sempre saputo che non era per me e, quando non lo sapevo io, me lo ricordavano tutti.
Nessuno dovrebbe avvicinarsi a chi ha subito traumi senza questa consapevolezza: si cammina in una città dopo un terremoto, uno scoppio nucleare, una inondazione. Si può riprendere quei mattoni e rimetterli a posto con pazienza, dargli una forma e mostrare loro che potranno tornare a essere edifici, palazzi, cortili… ma quella pietra non potrà mai dimenticare di essere stata nella distruzione, di aver assorbito l’impatto, perso frammenti, disgregato la quiete, aver stretto forte quel che restava e pensato “resisterò” prima che l’onda d’urto la smentisse.
Vorrei poter dare “istruzioni per l’uso” ma la verità è solo una: alcuni dolori non possono essere dimenticati e non ci sono valide istruzioni per tutti. Io per me non ne ho, ma so che sono costruita con gli stessi mattoni caduti dalla distruzione e questo non è un pregio. Non si vince un premio per restare in piedi. Anzi. Nessuno potrà più avvicinarsi con cura, con pazienza, con protezione. Tutti penseranno che solo perchè si è ancora in piedi si sia indistruttibili e questo ti riabilita ad essere una persona come tutte le altre. Ma non è così.
Non sono speciale, non sono migliore, sono un maldestro accrocco di tutti quei mattoni già esplosi. Io vorrei tanto scompormi, tornare al disfacimento, e invece ogni mattina vengo rimessa in piedi come un burattino proprio da questo: l’apparenza che salva tutti coloro che mi hanno distrutta, facendo credere loro che non hanno picchiato abbastanza duro tutto sommato. Impuniti, vittime della mia bruttura, di ogni ruvidezza, di tutte le crepe che non irradiano luce.
Se io un giorno ricomincerò vorrei che fosse dalla terra, dal primo colpo assestato, proprio da quello che per prima mi ha mandata in pezzi e vorrei dire “Ecco vedi, io non sono più stata intera da qui”. Non è l’ultimo singolo pugno che stende il pugile, è la somma di tutti quelli precedenti proprio a quello. Ogni nuovo pugno che prende ha addosso il peso di quelli di prima ed egli ha diritto ad un certo punto di arrendersi. Basta colpire. Lo dice il regolamento, lo dice l’arbitro. Il mio arbitro è un baro.
” Non è importante come si cade, ma come ci si rialza “. Ho sempre odiato questa frase, ho sempre pensato che dicesse che l’onore è rialzarsi, che sei tenuto a farlo, altrimenti non vali abbastanza. Sei un perdente.
Se non sarà così, se non potrò essere ascoltata e trattata tenendo conto di questo, allora non voglio nulla, non voglio altre occasioni, altre persone. Vorrei solo lasciare andare i pezzi, farli cadere tutti, e il giorno dopo non rimettermi insieme di nuovo, lasciarmi travolgere dal terremoto e semplicemente essere libera di non resistere. Ammutolire. Questo spero, ammutolire.